“ I never made money for clients by buying anything expensive ” (Sir John Templeton)

25 Luglio 2013

Il blog si è trasferito!

Abbiamo trasferito il blog ad un nuovo indirizzo: http://mrmarketmiscalculates.blogspot.it/


Tutti i precedenti post già pubblicati rimarranno ancora visibili su questa pagina, mentre i nuovi post ed idee saranno disponibili a partire da oggi solo al nuovo indirizzo.

Questa scelta è stata fatta per permettere ai lettori del blog di poter aggiungere i loro commenti, idee e domande. 

Il blog cambierà inoltre forma: mentre continueranno sempre i post generici su strategie di investimento, andamento dei mercati, comportamento degli investitori, etc…, verrà dato maggiore spazio all’analisi ed alla valutazione di singoli investimenti (in particolare small- e mid-caps europee).

Ci vediamo al nuovo indirizzo!



15 Luglio 2013

Su asset allocation e value investing

Un’allocazione di portafoglio diversificata è l’elemento caratteristico di ogni proposizione di investimento, ed ha come scopo principale quello di raggiungere gli obiettivi desiderati in termini di rendimento con un livello di rischio accettabile.

Purtroppo, i modelli di asset allocation più utilizzati sono quelli tradizionali basati sui precetti della Modern Portfolio Theory (MPT), che possono causare significative oscillazioni del valore del portafoglio. Questo perché questi modelli non tengono in considerazione la valutazione della attività finanziarie ma soprattutto perché considerano una definizione errata di rischio.

I modelli di asset allocation tradizionali sono tipicamente basati sui rendimenti storici delle varie classi considerate. Un famoso articolo del 1986 (Brinson - Hood - Beebower: “Determinants of portfolio performance”, Financial Analysts Journal) dimostrò che il mix di azioni, obbligazioni e liquidità determinava il 93,6% della variazione dei rendimenti del portafoglio (che è diverso da dire che l’asset allocation spiega il 93,6% dei rendimenti, come spesso è invece affermato da coloro che non hanno compreso i risultati della ricerca). Lo studio suggeriva quindi che il primo passo in un processo di investimento fosse appunto di determinare i pesi nel lungo periodo delle diverse attività. In aggiunta, molti altri studi accademici consigliano di costruire il proprio portafoglio lungo la cosiddetta “frontiera efficiente” (ovvero tutte quelle combinazioni che massimizzano il rendimento per un certo livello di rischio, o, in maniera equivalente, minimizzano il rischio per un determinato rendimento atteso); questa frontiera efficiente è di nuovo costruita partendo dai rendimenti storici delle varie classi, nonché dalla loro volatilità e correlazioni.

Tuttavia, e gli eventi degli ultimi anni ne sono la testimonianza, ci sono vari problemi con questo approccio:

  1. Il rischio non è la stessa cosa della volatilità. La definizione accademica di rischio come volatilità dei rendimenti è un approccio imperfetto. Il rischio non è un numero frutto di una elegante equazione matematica, bensì la possibilità di una perdita permanente del capitale investito.
  2. Indifferenza alle valutazioni. La MPT ignora un principio fondamentale di ogni investimento: ovvero di aumentare l’allocazione a quelle attività che sono a buon mercato e diminuire l’investimento in quelle che sono invece costose. Si possono fare decine di studi ed analizzare migliaia di variabili, ma nei mercati finanziari continuerà a dominare una verità incontrovertibile: i rendimenti attesi di qualsiasi investimento sono superiori quando le valutazioni sono contenute, e bassi quando invece le valutazioni sono elevate.
  3. Rendimenti non sufficienti. Una situazione di bassi rendimenti spinge i gestori a cercare nuovi approcci ed ad investire in classi più rischiose e poco conosciute, piuttosto che cambiare le loro assunzioni per riflettere la nuova situazione economica.

Una prima variazione a questo approccio per incrementare il rendimento dei portafogli (molto utilizzata dal 2002 al 2007 soprattutto per i fondi istituzionali o di high-net-worth individuals) è stata quella di replicare la strategia utilizzata dal fondo di Yale, che comprende significative allocazioni a hedge funds, private equity e commodities. Anche questa strategia, tuttavia, soffre di alcuni difetti, soprattutto per coloro che cercano delle scorciatoie per implementarla:

  1. Spesso insegue le performance recenti. I gestori rincorrono l’ultima moda anziché cercare le migliori valutazioni (ad esempio la corsa ai fondi di private equity nel 2007 quando le valutazioni erano molto elevate).
  2. È una diversificazione solo di nome. Spesso la diversificazione è solo apparente e le strategie sono altamente correlate. Ad esempio, molte delle strategie degli hedge funds hanno un alto livello di correlazione tra di loro, oltre il 90%, indicando che negli anni d’oro stavano facendo tutti la stessa cosa: inseguire il momentum di mercato e vendere volatilità.
  3. Si gioca a poker, non alla roulette. A costo di sembrare sacrileghi, vorremmo ricordare che investire è più simile ad una mano di poker (nella quale come si comportano gli altri giocatori è fondamentale) che alla roulette (dove come puntano gli altri non ha alcuna importanza). Inseguire alti rendimenti risulta spesso in investimenti in cui sono già presenti tutti, e questo altera la relazione tra rischio e rendimento. Ad esempio, come discusso nel post del 14 marzo, l’avvento massiccio di investitori istituzionali nei mercati delle materie prime ha modificato e poi annullato il roll yield.

Una seconda generazione di nuovi approcci per incrementare i rendimenti del portafoglio è stata quella di seguire l’esempio di Bridgewater, ovvero investire secondo un approccio di risk parity, oggi l’idea più proposta dall’industria degli investimenti e forse la più pericolosa da seguire al momento (anche questa già trattata nel post del 7 gennaio). Questo approccio prevede di pesare le varie classi a seconda del loro contributo alla volatilità (intesa come rischio), anziché rispetto al loro rendimento atteso; poiché questo tendenzialmente riduce il rendimento atteso, molti gestori propongono di usare la leva per riportare i rendimenti attesi almeno ad un livello sufficiente. Anche questa strategia, tuttavia, soffre di due problemi:

  1. Di nuovo, la definizione di rischio come volatilità è, ad essere gentili, imperfetta, il che implica un’allocazione che non tiene conto delle valutazioni;
  2. Usare la leva finanziaria per incrementare i rendimenti deve essere fatto con estrema prudenza, poiché può trasformare una perdita temporanea in una permanente.

A nostro avviso, sarebbe opportuno seguire un approccio più olistico ma allo stesso tempo più semplice: questo riguarda soprattutto incorporare nelle proprie attese di rendimento sia le valutazioni correnti che una misura di rischio più sensibile. La definizione di rischio dovrebbe includere: 1) il rischio di valutazione (pagare troppo per un’attività); 2) il rischio di business (ci sono problemi fondamentali nell’attività); 3) il rischio finanziario (troppa leva). Questo approccio, che mette le valutazioni al centro del processo, richiede tuttavia pazienza e la volontà di essere contrarian. La pazienza è richiesta perché le valutazioni sono mean-reventing solo su periodi di tempo relativamente lunghi, ed occorre aspettare le valutazioni giuste. Contrarian perché richiede di fare il contrario di quello che tutto il resto della massa di investitori sta facendo.

Sfortunatamente, questo è l’esatto opposto di quello che l’industria degli investitori propone ogni giorno…